Scanno, La Consulta chiarisce: incostituzionale non e’ la durata del Piano ma “sviare” risorse vincolate al Piano di Riequilibrio

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Scanno, dopo tante chiacchiere fatte circolare sull’ormai sentenza della Consulta nota come “di San Valentino”  (sentenza corte costituzionale n. 18 del 14-2-2019 )  la Consulta e’ nuovamente intervenuta per chiarire che non ha mai inteso considerare illegittima la durata del Piano di Riequilibrio ma al contrario sono state censurate le anticipazioni a lungo termine il cui meccanismo applicativo di fatto potrebbe portare ad aumentare il disavanzo mettendo, quindi, in discussione l’equilibrio di bilancio che  poi e’ il  bene pubblico primario da tutelare.

La recentissima sentenza della   Corte Costituzionale n.  115 del  23-6-2020 pertanto fa sparire d’incanto tutte le voci diffuse ripetutamente dalla maggioranza che in sostanza sostenevano che era stata censurata la durata trentennale del Piano di riequilibrio in essere . Di conseguenza non solo non e’ stato rimodulato il Piano cosi come approvato dalla Corte dei Conti ma addirittura ne e’ stata sospesa l’attuazione, preferendo la strada del dissesto, probabilmente  utilizzando  diversamente somme gia’ destinate allo stesso Piano.

Ci rendiamo conto della complessità della materia ma nello stesso tempo non possiamo esimerci Dissesto finanziariodall’estrapolare alcuni passi della predetta sentenza n. 115 di giugno scorso (solo due giorni prima dell’implicito rigetto della sospensiva del dissesto da parte del Consiglio di Stato)  che crediamo debba convincere l’amministrazione a proseguire (con le eventuali messe a punto visto il tempo trascorso ed il  ritorno degli 825 mila euro) il Piano di riequilibrio predisposto dalla precedente Amministrazione ed approvato dalla Corte dei Conti.

Vediamo nel dettaglio alcuni  punti che ci sembrano d’interesse per il nostro paese:

1) La consulta precisa che non e’ la durata trentennale del Piano di Riequilibrio che e’ incostituzionale ma lo “sviare” somme vincolate al Piano 

2)La Consulta conferma il suo costante orientamento secondo cui «il bilancio è un “bene pubblico” nel senso che è funzionale a sintetizzare e rendere certe le scelte dell’ente territoriale. E’ evidente che un consistente lasso temporale, senza neppure specificare da quale bilancio consuntivo e da quale gestione annuale sia stato originato il deficit, interrompe completamente la correlazione tra attività del rappresentante politico e risultati imputati alle collettività amministrate succedentesi nel tempo.

3) La Consulta ha invece censurato la innovativa normativa di  anticipazioni di liquidità, vale a dire anticipazioni di cassa a “lunga restituzione”,  in quanto essa  consentiva di superare i limiti  preclusi se il nuovo piano di riequilibrio avesse tenuto conto, in ossequio al principio di continuità dei bilanci e alle previsioni dei commi 6 e 7 dell’art. 243-bis del d.lgs. n. 267 del 2000, della situazione economico-finanziaria complessiva e di quella debitoria correttamente stimata, nonché dei risultati delle singole gestioni succedutesi dopo l’approvazione del primo piano di riequilibrio.

4) La Consulta ha rammentato che, per sopperire alla carenza di elementi forniti dagli Enti locali,  la Corte dei Conti dispone, anche in sede di controllo, del potere di ordinare tempestivamente incombenti istruttorie  ovvero che la Corte dei conti può richiedere alle amministrazioni pubbliche ed agli organi di controllo interno qualsiasi atto o notizia e può effettuare e disporre ispezioni e accertamenti diretti.

Insomma si conferma che anche la Consulta e’ molto rispettosa dei saldi principi del “buon padre di famiglia” che nella loro attuazione  sembrano disperdersi nel quotidiano operare degli Enti locali.

A prima vista infatti detti principi sembrano indispensabili per  tutelare al meglio il bene pubblico (che in questo caso e’ rappresentato dal bilancio comunale); essi in estrema sintesi ci dicono che va posto rimedio agli squilibri di bilancio (la norma indica un piano di riequilibrio)  che non vanno sviate le risorse  da detto Piano  (evitando quindi di aumentare il debito accertato in bilancio) e che gli  organi di controllo devono presidiare i comportamenti degli Enti locali se del caso, ove gli elementi siano controversi, di  disporre accertamenti diretti.

Il Consiglio comunale convocato per domani e’ conforme ai principi della Consulta?

 A prima vista non ci pare anzi. Pertanto rivolgiamo  all’organo di governo ed ai consiglieri tutti l’ormai consueto  appello:

AIUTIAMO SCANNO AD USCIRE DALLA PALUDE


Taluni stralci della sentenza n. 115 del 23 giugno 2020


RIF. Punto 1:

Prima di passare all’esame delle altre censure di merito, occorre chiarire un equivoco in cui incorre l’Avvocatura generale dello Stato,……Detto equivoco risiede nella convinzione che questa Corte abbia dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 1, comma 714, della legge n. 208 del 2015,….con riguardo all’intrinseca durata del piano di riequilibrio prevista nell’arco temporale di trent’anni.

Per quanto appresso più analiticamente argomentato, questa Corte non ha colpito la misura temporale del piano in sé considerata, bensì i meccanismi contabili previsti dalla disposizione viziata.

Infatti, con la suddetta pronuncia è stato accertato il contrasto con gli «artt. 81 e 97, primo comma, Cost., sia sotto il profilo della lesione dell’equilibrio e della sana gestione finanziaria del bilancio, sia per contrasto con gli interdipendenti principi di copertura pluriennale della spesa e di responsabilità nell’esercizio del mandato elettivo» (sentenza n. 18 del 2019).
Veniva in quel contesto precisato che il piano di riequilibrio è ontologicamente finalizzato alla continua ricerca di una stabilità economica di media e lunga durata, nell’ambito della quale la responsabilità politica del mandato elettorale si esercita, non solo attraverso il rendiconto del realizzato, ma anche in relazione al consumo delle risorse impiegate.
La norma dichiarata costituzionalmente illegittima si discostava radicalmente da tali parametri, consentendo di destinare, per un trentennio, in ciascun esercizio relativo a tale periodo, alla spesa di parte corrente somme vincolate al rientro dal disavanzo.

Era quindi nell’utilizzazione “sviata” delle somme destinate al rientro il vulnus ai precetti costituzionali e non nella durata, in quanto tale, del programma. È evidente che consentire per un trentennio – ma il principio vale per qualsiasi deroga all’immediato rientro che consenta di allargare l’entità del disavanzo anziché ridurlo – all’ente territoriale di “vivere ultra vires” comporta l’aggravio del deficit strutturale, anziché il suo risanamento

RIF Punto 2:

È costante l’orientamento di questa Corte secondo cui «il bilancio è un “bene pubblico” nel senso che è funzionale a sintetizzare e rendere certe le scelte dell’ente territoriale, sia in ordine all’acquisizione delle entrate, sia alla individuazione degli interventi attuativi delle politiche pubbliche, onere inderogabile per chi è chiamato ad amministrare una determinata collettività ed a sottoporsi al giudizio finale afferente al confronto tra il programmato ed il realizzato» (ex plurimis, sentenza n. 184 del 2016)

È evidente che un consistente lasso temporale, senza neppure specificare da quale bilancio consuntivo e da quale gestione annuale sia stato originato il deficit, interrompe completamente la correlazione tra attività del rappresentante politico e risultati imputati alle collettività amministrate succedentesi nel tempo

 

RIF. punto 3:

La Consulta ha invece censurato l’istituto delle anticipazioni di liquidità, vale a dire anticipazioni di cassa a “lunga restituzione”, al fine di eliminare, in via del tutto eccezionale, la morosità degli enti pubblici. Questa Corte, nel definire il perimetro entro il quale le anticipazioni di liquidità non sarebbero entrate in contrasto con la regola aurea dell’art. 119, sesto comma, Cost., aveva sottolineato come la misura di dette anticipazioni non potesse superare l’entità dei debiti inevasi e, conseguentemente, quella del disavanzo accertato prima che l’ente possa accedere alla richiesta di anticipazione (sentenza n. 181 del 2015). Corollario di tale complesso ordito normativo è che la misura complessiva delle anticipazioni non può essere superiore a quella dei debiti inevasi al momento dell’ultima anticipazione. Tale esito sarebbe stato precluso se il nuovo piano di riequilibrio avesse tenuto conto, in ossequio al principio di continuità dei bilanci e alle previsioni dei commi 6 e 7 dell’art. 243-bis del d.lgs. n. 267 del 2000, della situazione economico-finanziaria complessiva e di quella debitoria correttamente stimata, nonché dei risultati delle singole gestioni succedutesi dopo l’approvazione del primo piano di riequilibrio.

È costante l’orientamento di questa Corte secondo cui il «rendiconto – indipendentemente dalla compilazione e redazione dei complessi allegati al bilancio previsti dal d.lgs. n. 118 del 2011 – deve contenere, in coerenza con le risultanze di detti allegati, tre elementi fondamentali:

a) il risultato di amministrazione espresso secondo l’art. 42 del decreto in questione;

b) il risultato della gestione annuale inerente al rendiconto;

c) lo stato dell’indebitamento e delle eventuali passività dell’ente applicate agli esercizi futuri.

Infatti, il primo risultato chiarisce la situazione economico-finanziaria al termine dell’esercizio in modo comparabile a quella dell’anno precedente e a quella che sarà determinata per l’esercizio successivo. Il secondo enuclea – dal contesto complessivo di cui al precedente punto a) – le risultanze della gestione annuale integralmente imputabile agli amministratori in carica. Il terzo fornisce il quadro pluriennale dell’indebitamento, consentendo una prospettiva di sindacato sia in relazione ai vincoli europei, sia in relazione all’equità intergenerazionale, strumento servente alla determinazione dei costi-benefici afferenti alle generazioni future con riguardo alle politiche di investimento in concreto adottate. Tali elementi, indipendentemente dalla tecnicità degli allegati al bilancio, costituiscono appunto la necessaria attuazione degli evocati precetti costituzionali di natura finanziaria» (sentenza n. 49 del 2018; in senso conforme, sentenza n. 274 del 2017).

Rif. Punto 4:

la Corte dei conti può richiedere alle amministrazioni pubbliche ed agli organi di controllo interno qualsiasi atto o notizia e può effettuare e disporre ispezioni e accertamenti diretti.“

È vero che nei casi che hanno originato la fattispecie normativa in esame e quella inerente alla sentenza n. 18 del 2019 gli enti locali coinvolti non avevano reso ostensibile l’andamento storico delle passività, l’indicazione dei presupposti per attivare le anticipazioni di liquidità e gli altri elementi previsti dai commi 6 e 7 dell’art. 243-bis del d.lgs. n. 267 del 2000.
Tuttavia, la Corte dei conti ben dispone, anche in sede di controllo, del potere di ordinare tempestivamente incombenti istruttori secondo le modalità dell’art. 3, comma 8, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), il quale prevede che «la Corte dei conti può richiedere alle amministrazioni pubbliche ed agli organi di controllo interno qualsiasi atto o notizia e può effettuare e disporre ispezioni e accertamenti diretti. Si applica il comma 4 dell’articolo 2 del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453».

 

Scanno, La Consulta chiarisce: incostituzionale non e’ la durata del Piano ma “sviare” risorse vincolate al Piano di Riequilibrioultima modifica: 2020-07-17T17:19:14+02:00da vivrescanno
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